Accesso agli atti di gara: trasparenza vs segreti tecnici negli appalti
Nei contratti pubblici la trasparenza delle gare incontra il limite della tutela del know-how aziendale. Le pronunce del 2025 fanno luce sui confini del segreto nelle procedure di appalto
“La verità raramente è pura e non è mai semplice.” Questo aforisma di Oscar Wilde ben descrive la complessità crescente nel bilanciamento tra trasparenza e segretezza nel mondo degli appalti pubblici. Da un lato, le imprese e i cittadini invocano massima trasparenza nelle procedure di gara; dall’altro, le aziende aggiudicatarie temono di vedere divulgati i propri segreti tecnici e commerciali – il frutto di esperienza, investimenti e innovazione – a vantaggio dei concorrenti. Nel mezzo, le stazioni appaltanti devono districarsi tra obblighi di pubblicità degli atti e doveri di tutela del know-how altrui, sotto lo sguardo vigile della giurisprudenza. Il 2025 ha visto importanti pronunce dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato su questo tema: vediamone i contenuti e le implicazioni operative.
Trasparenza totale con il nuovo Codice?
Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) ha rafforzato i principi di trasparenza e digitalizzazione, spingendo verso una “casa di vetro” dell’amministrazione anche nel settore delle gare. In particolare, l’art. 35 del Codice ha espressamente esteso agli appalti l’accesso civico generalizzato (il cosiddetto FOIA), consentendo a chiunque di richiedere documenti di gara, nei limiti dell’art. 5-bis del D.Lgs. 33/2013. Ciò rappresenta una novità dirompente: in passato l’accesso agli atti di appalto era regolato soprattutto dagli artt. 53 del vecchio Codice (D.Lgs. 50/2016) e 22 e seguenti della legge 241/1990, ed era riservato ai concorrenti interessati, con esclusione del pubblico generale. Oggi, invece, chiunque – anche estraneo alla procedura – può chiedere di vedere documenti di gara, dall’offerta economica a quella tecnica, salvi i necessari bilanciamenti. E proprio qui nasce la tensione: fino a che punto la trasparenza può spingersi senza violare i segreti industriali di un operatore economico?
Il legislatore, consapevole di questo delicato equilibrio, ha previsto nel FOIA applicato ai contratti pubblici una serie di limitazioni a tutela di interessi rilevanti. Su tutte, spicca la tutela dei segreti tecnici e commerciali (art. 5-bis, co. 2, lett. c, D.Lgs. 33/2013): la Pubblica Amministrazione deve rifiutare l’accesso quando è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla protezione di informazioni riservate quali proprietà intellettuale, know-how, soluzioni progettuali coperte da segreto industriale. Si tratta di concetti generali che, nella pratica, richiedono un’attenta valutazione caso per caso. È proprio in questo spazio di discrezionalità che sono intervenute le recenti sentenze del 2025, offrendo criteri e principi per guidare sia le amministrazioni sia gli operatori economici.
Accesso “difensivo” per i concorrenti non aggiudicatari
Diverso dal FOIA generalizzato è il classico accesso documentale di cui alla L. 241/1990, destinato a chi abbia un interesse diretto e concreto, tipicamente il concorrente escluso o non vincitore che voglia valutare un ricorso. In questi casi si parla di accesso difensivo, strumento fondamentale per garantire il diritto di difesa e l’effettività della tutela giurisdizionale. Nel 2025 i tribunali amministrativi hanno ulteriormente chiarito che questo diritto va preservato con fermezza, anche a costo di sacrificare in parte la riservatezza dell’aggiudicatario.
Emblematica è la pronuncia del TAR Piemonte, sent. n. 1271/2025 (25 luglio 2025). In quella gara, un operatore economico secondo classificato aveva chiesto l’ostensione integrale dell’offerta tecnica del vincitore, sulla base dell’art. 116 c.p.a. (ricorso contro il diniego di accesso) e dell’art. 35, co. 5, D.Lgs. 36/2023. La stazione appaltante, accogliendo le obiezioni dell’aggiudicatario, aveva fornito solo una copia parziale dell’offerta, oscurandone varie parti per supposti “segreti commerciali”, senza però motivare adeguatamente il perché di tali omissioni. Il TAR ha censurato questo modus operandi, ribadendo un principio netto: il diritto di accesso prevale sulla riservatezza invocata dall’aggiudicatario quando è esercitato per tutelare in giudizio le proprie ragioni. L’accesso agli atti di gara è uno strumento essenziale per il concorrente leso, che altrimenti vedrebbe frustrato il proprio diritto al ricorso. Nessuna clausola di segretezza può essere utilizzata strumentalmente per occultare informazioni determinanti ai fini di un’eventuale impugnazione.
Naturalmente, ciò non significa che ogni informazione richiesta vada sempre divulgata senza condizioni. Il TAR Piemonte ricorda che il legislatore tutela il know-how industriale, ma lo fa entro confini ben precisi. Non ogni elemento dell’offerta tecnica può essere dichiarato segreto ipse dixit dall’impresa: bisogna verificarne i contenuti e la reale natura. Nella sentenza si richiamano i parametri derivanti dall’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. 30/2005) per definire cosa costituisce un segreto industriale vero e proprio. In pratica, un’informazione aziendale per potersi definire “segreto tecnico o commerciale” deve possedere requisiti stringenti, tra cui:
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Originalità e specificità: il dettaglio tecnico deve essere precisamente individuato e descritto, non generico;
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Valore economico competitivo: deve trattarsi di un know-how o di soluzioni suscettibili di sfruttamento economico, che diano un vantaggio competitivo a chi le detiene;
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Non divulgazione: le informazioni devono essere realmente segrete in senso oggettivo, cioè non note o facilmente accessibili agli operatori esperti del settore;
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Misure di protezione: l’impresa deve aver adottato misure concrete per mantenere segreta quell’informazione (es. limitazione della conoscenza interna, accordi di riservatezza, protezioni tecniche).
Solo se ricorrono tutti questi elementi si può parlare di segreto tecnico/commerciale tutelabile. Nel caso concreto, l’aggiudicataria si era limitata ad affermare che le soluzioni proposte erano frutto della propria esperienza e che la loro diffusione avrebbe potuto avvantaggiare concorrenti futuri. Ma non aveva indicato quali parti specifiche dell’offerta fossero coperte da segreto, né provato l’esistenza di soluzioni originali o di misure di protezione attuate. Una motivazione apodittica e generica, l’ha definita il TAR, del tutto insufficiente. La stazione appaltante, dal canto suo, aveva omesso qualsiasi autonoma valutazione, limitandosi a recepire le richieste di oscuramento del privato senza bilanciarle con l’interesse altrui alla difesa. Questo approccio è stato dichiarato illegittimo: l’ente pubblico avrebbe dovuto esaminare nel merito la fondatezza del sedicente segreto e motivare puntualmente l’eventuale diniego parziale di accesso. Non avendolo fatto, il tribunale ha accolto il ricorso e ordinato di esibire integralmente l’offerta tecnica al ricorrente, entro 20 giorni.
Una posizione analoga si ritrova in TAR Liguria, sent. n. 833/2025 (11 luglio 2025), sempre relativa all’accesso di un secondo classificato all’offerta vincente in un appalto di servizi. Anche qui il giudice ha dato prevalenza al diritto di accesso difensivo, affermando che la tutela dei segreti tecnici non può comprimere il diritto alla difesa, specie in settori non caratterizzati da innovazioni brevettuali. In altre parole, se la gara riguarda servizi o forniture standard, senza particolari invenzioni o formule innovative, diventa ancor più difficile sostenere che l’offerta contenga segreti industriali in senso stretto. Di nuovo il TAR richiama le stazioni appaltanti al loro dovere di istruttoria rigorosa: non basta che l’aggiudicatario dichiari “riservate” alcune parti dell’offerta, occorre verificarne la reale segretezza. Il messaggio è chiaro: la trasparenza a fini di giustizia nelle gare pubbliche è la regola, la riservatezza l’eccezione da dimostrare rigorosamente. Nihil occultum quod non reveletur: nulla resta nascosto per sempre. Se un’informazione dell’offerta non è davvero “segreta” secondo i criteri di legge, dovrà emergere e farsi luce nel procedimento, per quanto scomodo possa essere per l’aggiudicatario.
Accesso civico generalizzato: un outsider può vedere l’offerta altrui?
Se i casi sopra riguardano richieste di accesso da parte di concorrenti in gara (dunque soggetti con un interesse specifico e qualificato), diverso e ancor più delicato è il caso dell’accesso civico generalizzato presentato da soggetti terzi, estranei alla procedura di gara. Cosa accade se un cittadino, un giornalista o un’associazione chiede di visionare i documenti di un appalto in nome della trasparenza, magari dopo l’aggiudicazione? Il nuovo Codice appalti, come detto, consente anche questo tipo di istanze, sempre però nel rispetto dei limiti di legge a tutela di vari interessi pubblici e privati.
Nel 2025 il Consiglio di Stato ha affrontato in modo approfondito la questione con la sentenza Cons. Stato, Sez. V, n. 7201/2025 (depositata il 4 settembre 2025). Il caso riguardava una gara per la gestione di un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR): un soggetto estraneo alla gara (esperto di politiche migratorie, in contesto giornalistico) aveva richiesto in base al FOIA l’accesso a tutti gli atti, inclusa l’offerta tecnica dell’aggiudicataria, una cooperativa sociale. La Prefettura aveva parzialmente accolto la richiesta, fornendo il contratto ma negando l’ostensione dell’offerta tecnica, ritenuta coperta da segreto commerciale ex art. 35, co. 4, D.Lgs. 36/2023. Il richiedente ha impugnato il diniego parziale, ma sia il TAR Basilicata in primo grado sia il Consiglio di Stato in appello gli hanno dato torto: l’offerta tecnica dettagliata rimane riservata per proteggere il know-how aziendale dell’aggiudicatario.
Nella sua decisione il Consiglio di Stato delinea un principio di portata generale: l’accesso civico generalizzato non può spingersi fino a ledere i segreti commerciali delle imprese né falsare la concorrenza futura. Anche se il FOIA negli appalti mira a garantire la trasparenza verso la collettività, esso non è illimitato. L’amministrazione deve sempre operare un bilanciamento concreto tra opposti interessi: da un lato l’interesse pubblico (o diffuso) a conoscere, dall’altro l’interesse privato alla riservatezza di informazioni sensibili. Nel bilanciare, occorre tener conto anche della posizione del richiedente: qui non parliamo di un concorrente che deve tutelare in giudizio un proprio diritto, ma di un terzo che invoca un controllo diffuso. Ebbene, il Consiglio di Stato sostiene che un soggetto estraneo non può ottenere un’ostensione più ampia di quella che spetterebbe ai partecipanti alla gara stessa. In caso contrario si verificherebbe un paradosso: chi non ha partecipato alla procedura potrebbe venire a conoscenza di dettagli tecnici riservati che magari neppure i concorrenti (in assenza di un contenzioso) hanno mai avuto modo di vedere, e ciò frustrerebbe la ratio della tutela del know-how aziendale.
La sentenza richiama anche un importante precedente europeo: l’ordinanza della Corte di Giustizia UE del 10 giugno 2025 (causa C-686/24). La Corte UE ha stabilito che una normativa nazionale non può imporre la divulgazione di documenti contenenti segreti tecnici o commerciali presentati da un offerente, su richiesta di un altro offerente, al fine di garantire il diritto a un ricorso effettivo, senza consentire all’amministrazione aggiudicatrice un bilanciamento tra il diritto di difesa e le esigenze di tutela dei segreti industriali. Tradotto: anche nel contenzioso tra imprese concorrenti serve un bilanciamento caso per caso, non si può dare automaticamente accesso a qualsiasi informazione coperta da segreto. Figuriamoci – sottolinea il Consiglio di Stato – se un accesso generalizzato da parte di un terzo estraneo possa scardinare tali tutele senza un rigoroso filtro. Dunque, la strada maestra è la stessa: valutare concretamente, documento per documento, se la divulgazione arreca un pregiudizio ai segreti tecnici e commerciali. Se sì, l’accesso civico va negato (o limitato); se no, va concesso. Nel caso del CPR, la cooperativa aggiudicataria aveva effettivamente indicato parti dell’offerta come frutto di proprie metodologie organizzative e gestionali, la cui rivelazione avrebbe potuto compromettere l’efficacia del servizio e la propria posizione competitiva in future gare analoghe. Tale motivazione, valutata in concreto, è stata ritenuta plausibile e il diniego di accesso su quelle parti è stato giudicato legittimo.
Implicazioni pratiche: come gestire segreti e trasparenza
Cosa insegnano, in pratica, queste pronunce a chi opera nel settore degli appalti? Da un lato, le amministrazioni aggiudicatrici sono richiamate a un ruolo attivo e responsabile. Ogni volta che ricevono un’istanza di accesso – sia essa da parte di un concorrente o di un terzo – non possono più limitarsi a fare da passacarte tra richiedente e aggiudicatario. Devono, invece, svolgere un’istruttoria approfondita: se l’operatore economico invoca la segretezza di parti della propria offerta, la stazione appaltante deve chiedergli di circostanziare la richiesta, indicando esattamente quali informazioni sarebbero segrete e perché, e quali misure ha adottato per mantenerle tali. Quindi l’amministrazione è tenuta a ponderare gli interessi in conflitto e a motivare esplicitamente la sua decisione: sia in caso di diniego (spiegando in che modo l’ostensione arrecerebbe un danno concreto e attuale al segreto industriale), sia in caso di accoglimento (spiegando perché l’accesso non lede interessi di riservatezza meritevoli di tutela o perché prevale l’interesse difensivo). Questo obbligo di motivazione rafforzata emerge chiaramente dalle sentenze: un oscuramento non motivato o motivato in modo stereotipato espone la P.A. a soccombere in giudizio per eccesso di potere.
Dall’altro lato, le imprese devono essere consapevoli che non tutto ciò che presentano in gara potrà restare nascosto ai rivali. Se si aggiudicano un appalto, dovranno aspettarsi richieste di accesso da parte dei concorrenti non vittoriosi: è fisiologico nel sistema di tutela. Pertanto, è bene che già in sede di offerta distinguano tra le parti davvero strategiche e originali (da tutelare magari con brevetti, copyright, accordi di non divulgazione col proprio staff, ecc.) e quelle standard. Se intendono opporsi alla divulgazione di certi aspetti, dovranno dimostrare concretamente il carattere segreto e il danno specifico derivante dalla diffusione. Dichiarazioni generiche non reggeranno al vaglio del giudice. Conviene anche redigere le offerte tecniche in modo da separare eventuali informazioni sensibili (inserendole magari in appendici tecniche) dal resto della proposta: così, in caso di accesso, si potrà consentire la visione della maggior parte del documento oscurando solo le parti davvero critiche. Un aggiudicatario collaborativo e trasparente con la P.A. nel motivare la riservatezza avrà più chance di vedersi riconosciuta la tutela del segreto sulle poche informazioni davvero strategiche.
Per i concorrenti esclusi o non aggiudicatari, il messaggio delle pronunce è incoraggiante: i TAR confermano che il favor partecipationis e la parità delle armi impongono di consentire loro un accesso ampio agli atti di gara, incluse le offerte altrui, fatto salvo solo quanto strettamente necessario a tutelare un segreto industriale autentico. In caso di diniego ingiustificato, il ricorso al giudice amministrativo (ex art. 116 c.p.a.) potrà facilmente ribaltare la situazione, come avvenuto in Piemonte e Liguria, con tempi relativamente brevi vista la natura accelerata di questi procedimenti. Dunque, chi ritiene di aver subito un oscuramento eccessivo o pretestuoso delle altrui offerte non deve esitare a far valere le proprie ragioni, a supporto di un eventuale ricorso principale contro l’aggiudicazione.
In definitiva, trasparenza e segreto non sono valori assoluti e contrapposti, ma interessi da bilanciare con intelligenza. Il 2025 ci consegna una giurisprudenza più matura e raffinata su questo equilibrio. Le stazioni appaltanti sono chiamate a fare da giudici-arbitri nella prima linea di conflitto tra chi chiede di vedere e chi chiede di coprire, sapendo che le loro decisioni saranno poi scrutinate dai tribunali. Le imprese, dal canto loro, dovrebbero evitare sia di abusare della dizione “riservato” per qualsiasi elemento (atteggiamento ormai smascherabile in giudizio), sia di sottovalutare la protezione dei propri reali segreti industriali. “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, recita un noto proverbio: cercare di nascondere informazioni che non sono davvero segrete rischia solo di far perdere credibilità all’azienda di fronte all’autorità e al giudice, mentre investire seriamente in innovazione e tutele giuridiche del know-how paga nel lungo periodo.
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