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Affidamenti diretti: prassi, rotazione e danno erariale

Affidamenti diretti appalti

Affidamenti diretti: prassi, rotazione e danno erariale

La nuova disciplina degli affidamenti diretti negli appalti pubblici – introdotta dal D.Lgs. 36/2023 e rivista dal correttivo D.Lgs. 209/2024 – offre maggiori spazi di semplificazione per imprese e stazioni appaltanti. Tuttavia, restano fermi obblighi fondamentali (come il principio di rotazione) e profili di responsabilità (come il danno erariale in caso di abusi) che richiedono attenzione e buone prassi operative.


Nuovo codice appalti e affidamenti diretti

Il nuovo Codice dei contratti pubblici 2023 ha innalzato in modo significativo le soglie per gli affidamenti diretti, consentendoli per lavori fino a 150.000 € e per servizi e forniture fino a 140.000 €. Ciò ha ampliato le occasioni in cui le amministrazioni possono procedere ad assegnazioni rapide senza gara formale. L’obiettivo è semplificare e accelerare gli appalti di minore entità, riducendo oneri burocratici per imprese e pubbliche amministrazioni.

Tuttavia questa maggiore flessibilità è bilanciata da rigorose condizioni. L’affidamento diretto resta una deroga al principio generale di evidenza pubblica e non può diventare la modalità ordinaria di scelta del contraente pubblico. Il correttivo 2024 ha infatti introdotto vincoli stringenti di motivazione, per evitare che l’istituto degeneri in un meccanismo di assegnazione sistematica senza concorrenza. In altri termini, le stazioni appaltanti devono giustificare in modo chiaro perché scelgono un determinato operatore in via fiduciaria, dimostrando convenienza ed economicità della scelta. Il nuovo Codice richiede inoltre maggiore pubblicità e trasparenza sugli affidamenti diretti: ad esempio, la mancata pubblicazione degli atti di un affidamento diretto viola i principi di trasparenza e ne causa l’illegittimità.

 In sintesi, la normativa attuale offre sì procedure semplificate ma impone anche responsabilità elevate a chi le utilizza, in un delicato equilibrio tra snellezza amministrativa e tutela della concorrenza.

Principio di rotazione: regole ed eccezioni

Tra le condizioni più importanti vi è il principio di rotazione degli affidamenti, ora codificato all’art. 49 del D.Lgs. 36/2023. Tale principio impone di non reiterare l’affidamento allo stesso operatore economico uscente, senza adeguata motivazione, negli appalti sotto-soglia. La ratio è garantire un’effettiva apertura del mercato ed evitare posizioni consolidate di vantaggio (le cosiddette rendite di posizione). In pratica, anche quando si procede senza gara, la P.A. deve ruotare i fornitori invitati o affidatari, così da offrire opportunità a più imprese (in particolare PMI) e prevenire forme di favoritismo.

Il principio di rotazione si applica in via generale a tutti gli affidamenti diretti e procedure negoziate sotto soglia. La violazione di tale obbligo può comportare l’illegittimità dell’affidamento e l’annullamento dell’atto La giurisprudenza amministrativa ha costantemente ribadito che la rotazione non è una facoltà discrezionale, bensì un vincolo procedurale inderogabile per tutelare la concorrenza. 

Ad esempio, il Consiglio di Stato (Sez. III) nella sentenza n. 4897/2025 ha confermato che l’operatore affidatario uscente non può essere incaricato nuovamente senza adeguata motivazione, anche se la nuova procedura è stata preceduta da un avviso di manifestazione d’interesse. Inoltre, basta una coincidenza anche parziale delle prestazioni rispetto al precedente appalto perché scatti l’obbligo di rotazione: non occorre l’identità perfetta dell’oggetto, è sufficiente che il nuovo affidamento rientri nello stesso settore merceologico o categoria del precedente. In sostanza, “l’identità anche parziale delle prestazioni è sufficiente a far scattare il principio di rotazione”.

Eccezioni: il Codice prevede solo limitate deroghe al principio di rotazione. Una novità introdotta è che esso non si applica per gli affidamenti diretti di importo inferiore a 5.000 €, data l’esiguità della spesa (soglia sotto la quale la legge consente una maggiore discrezionalità). Un’ulteriore deroga è ammessa nei casi di procedure negoziate senza bando aperte al mercato senza limitazioni: se la stazione appaltante, per un appalto sotto-soglia, svolge un’indagine di mercato realmente aperta a tutti gli operatori qualificati (senza restringere il numero di invitati), l’affidamento risultante si configura più come una mini-gara competitiva, e in tal caso il comma 5 dell’art. 49 consente di non applicare la rotazione. Fuori da queste ipotesi tassative, invece, la rotazione vale sempre e la sua violazione rende illegittimo l’affidamento. Come chiarito dal TAR Campania nel 2025, le deroghe al principio di rotazione sono circoscritte dalla legge e non possono essere arbitrariamente estese dalle amministrazioni.

Motivazione dell’affidamento e buone prassi operative

La rotazione non vieta in assoluto di riaffidare un contratto al medesimo operatore, ma impone alla P.A. di motivare in modo puntuale e rigoroso le ragioni di tale scelta in via eccezionale. In altri termini, se un ente intende confermare l’uscente, deve dimostrare perché ciò risponde meglio all’interesse pubblico rispetto a selezionare un nuovo operatore.

A tal fine non bastano motivazioni generiche (es. il fatto che il fornitore precedente abbia lavorato bene): occorre provare l’assenza di valide alternative sul mercato, la particolare convenienza economica o la specificità tecnica che giustificano il rinnovo dell’incarico Questa esigenza di motivazione è stata rafforzata dal correttivo 2024, proprio per evitare “l’assegnazione sistematica dei contratti pubblici in assenza di qualsiasi forma di concorrenzialità”.

Anche ANAC (Autorità Anticorruzione) ha richiamato le stazioni appaltanti a un uso accorto dell’affidamento diretto. In particolare, con un Atto del Presidente del 13 settembre 2023, ANAC ha censurato la condotta di un Comune che in 5 anni aveva assegnato 206 appalti tramite affidamento diretto (su 222 totali), con appena 4 procedure aperte. Tale abuso evidenziava una prassi elusiva sia della programmazione che della concorrenza. «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?», si domandava Dante Alighieri (Purgatorio, XVI) per denunciare la mancata applicazione delle norme: un monito quanto mai attuale. In questo caso, ANAC ha riscontrato la violazione del principio di rotazione, avendo l’ente effettuato ben 29 affidamenti diretti allo stesso operatore senza adeguata giustificazione.

Riassumiamo. L’Autorità ha ribadito che l’affidamento diretto va sempre motivato, sia sulla scelta della procedura semplificata sia sui criteri di selezione degli operatori. Un ricorso eccessivo e non pianificato a procedure semplificate, con artificioso frazionamento delle commesse per restare sotto soglia, contrasta con i principi di buon andamento e viola l’art. 35 del vecchio Codice (divieto di artificioso frazionamento). Le Linee Guida n.4 di ANAC già prescrivevano di definire correttamente il fabbisogno ed evitare di spezzettare gli appalti al solo scopo di eludere le gare. Inoltre, l’ANAC ha ricordato che il principio di rotazione serve a impedire il consolidarsi di rapporti esclusivi e a favorire la distribuzione delle opportunità nel tempo.

Quando, in casi eccezionali, si decide di affidare di nuovo al contraente uscente, ANAC e Consiglio di Stato concordano sul fatto - principio - che debba trattarsi di una deroga motivata in base a parametri oggettivi. Ad esempio, la stazione appaltante potrebbe motivare il riaffidamento “in considerazione della particolare struttura del mercato e della riscontrata effettiva assenza di alternative”, oltre che alla luce dell’ottima precedente esecuzione e della convenienza del prezzo Ma, come avverte il Consiglio di Stato, la motivazione deve anche escludere espressamente che vi sia stato un frazionamento artificioso o un aggiramento della gara nel triennio di riferimento. In pratica, non si può aggirare il principio di rotazione mediante espedienti come: suddividere artificiosamente gli appalti, alternare gli stessi fornitori in affidamenti sequenziali, o invitare sempre gli stessi operatori evitando ingiustificatamente altri potenziali concorrenti. Tali pratiche sono indice di elusione e integrano un comportamento illegittimo. Le buone prassi suggerite comprendono invece: una corretta programmazione degli acquisti per evitare urgenze fittizie, l’utilizzo della rotazione negli inviti alle consultazioni di mercato, la richiesta di più preventivi ove possibile anche sotto soglia (pur non obbligatoria), e la puntuale pubblicazione degli affidamenti effettuati per garantire trasparenza. In questo modo l’affidamento diretto rimane uno strumento efficiente e legittimo, senza pregiudicare la concorrenza.

Rischi e responsabilità: il danno erariale

Oltre al rischio di annullamento degli atti in sede di giustizia amministrativa, l’uso distorto degli affidamenti diretti può esporre i responsabili a responsabilità erariale dinanzi alla Corte dei conti. Il cosiddetto “danno da mancata gara” (o danno alla concorrenza) è il pregiudizio economico che può derivare dal non aver svolto una procedura competitiva, ad esempio pagando prezzi più alti o ottenendo condizioni meno favorevoli rispetto a quelle che si sarebbero ottenute tramite gara. Una reiterazione sistematica di affidamenti diretti senza congrua giustificazione può configurare un danno erariale se si prova che questa prassi ha causato un esborso maggiore per l’ente pubblico rispetto al mercato. In altre parole, se l’assenza di concorrenza ha fatto pagare ad esempio un servizio più del dovuto, la differenza è un danno patrimoniale allo Stato.

Va chiarito però che tale danno non si presume mai automaticamente (“in re ipsa”). Come affermato dalla Corte dei conti, il semplice fatto di aver omesso la gara è solo un indizio di possibile danno, ma “occorre dimostrare che effettivamente nel caso concreto la violazione delle norme sulla scelta del contraente abbia determinato una maggiore spesa di denaro pubblico”. Ad esempio, si può fornire prova comparando i prezzi pagati nell’affidamento diretto con quelli ottenuti tramite gara per servizi analoghi. Se non si riesce a provare una differenza sfavorevole, non vi è danno risarcibile. Recentemente, la Corte dei conti – Sez. giurisdiz. Basilicata, sent. n. 70/2024 – ha assolto alcuni amministratori proprio perché la Procura non aveva fornito un quadro probatorio sufficiente del danno derivante dall’abuso di proroghe e affidamenti diretti: il mancato ricorso alla gara creava il sospetto di un danno, ma non è bastato a dimostrare che il Comune avesse effettivamente speso di più. 

In sintesi, per condannare un funzionario per danno erariale da affidamento diretto illegittimo, è necessario provare il nesso causale tra la violazione (assenza di confronto concorrenziale) e un concreto pregiudizio economico per l’ente.

Ciò non deve però indurre a sottovalutare il problema: se gli organi di controllo riescono a dimostrare che, grazie alla mancanza di gara, un contratto è stato affidato a condizioni peggiori del mercato, i responsabili dovranno risponderne. Oltre al profilo contabile, potrebbero emergere persino rilievi penali in casi estremi di condotte collusive o fraudolente. Si pensi al reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), configurabile quando l’integrità di una gara viene compromessa da accordi illeciti: anche se nel caso dell’affidamento diretto non c’è una “gara” formalmente indetta, accordi sottobanco per favorire un determinato operatore eludendo la concorrenza potrebbero richiamare l’attenzione della magistratura. Insomma, errare humanum est, perseverare autem diabolicum: sbagliare può essere umano, ma perseverare in prassi elusive è diabolico e conduce a conseguenze sempre più gravi. Le stazioni appaltanti e i RUP devono quindi maneggiare con cura l’affidamento diretto, rispettando scrupolosamente le regole di rotazione, trasparenza e motivazione, sia per evitare contestazioni nei tribunali amministrativi sia per non incorrere in sanzioni erariali o disciplinari.

Supporto pratico per RUP, stazioni appaltanti e imprese

In questo contesto normativo complesso e in evoluzione, LexAppalti offre un servizio di consulenza specializzata – sia online sia on-site – rivolto a RUP, stazioni appaltanti e imprese. Grazie a un approccio pratico e orientato alla soluzione dei problemi operativi, affianchiamo i nostri clienti nell’applicare correttamente il nuovo Codice degli appalti e le linee guida in materia di affidamenti diretti. Supportiamo le stazioni appaltanti nella stesura di atti di affidamento motivati, nel rispetto del principio di rotazione e delle procedure semplificate, prevenendo irregolarità che possano portare a ricorsi o responsabilità. Allo stesso tempo assistiamo le imprese nel tutelare il proprio diritto alla partecipazione, segnalando eventuali violazioni (come affidamenti ripetitivi allo stesso operatore) e attivando i rimedi previsti. LexAppalti unisce competenze giuridiche aggiornate e conoscenza delle best practice di settore, per garantire soluzioni efficienti e conformi alle novità normative. Che si tratti di una consulenza rapida online o di un affiancamento in loco al RUP, il nostro obiettivo è assicurare appalti trasparenti, competitivi e sicuri, nell’interesse sia dell’amministrazione che delle imprese.

In sintesi

Gli affidamenti diretti nel nuovo Codice Appalti (D.Lgs. 36/2023 e correttivo 209/2024) consentono procedure più snelle per lavori fino a 150.000 € e servizi/forniture fino a 140.000 €, ma richiedono il rispetto rigoroso del principio di rotazione e una solida motivazione per evitare favoritismi. La violazione di queste regole espone le amministrazioni al rischio di illegittimità degli atti (annullamento in sede di giustizia amministrativa) e potenziali responsabilità per danno erariale qualora si provi un pregiudizio economico da mancata gara. LexAppalti offre consulenza pratica e specializzata a RUP, stazioni appaltanti e imprese, aiutandoli a navigare tra le nuove norme sugli appalti pubblici, garantendo affidamenti diretti trasparenti, motivati e conformi alle best practice, scongiurando così errori costosi e controversie legali.

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