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Affidamenti in house: opportunità e vincoli nel nuovo Codice

Appalti house

Affidamenti in house: opportunità e vincoli nel nuovo Codice

La gestione in house di servizi pubblici – ossia l’affidamento diretto a società interamente partecipate dalla Pubblica Amministrazione – è oggi riconosciuta dalla legge come alternativa alla gara. Il nuovo Codice Appalti 2023 ha rimosso l’idea che si tratti di un’eccezione da giustificare in modo straordinario, equiparandola in linea di principio all’appalto sul mercato. Tuttavia, restano vincoli rigorosi: l’ente pubblico deve rispettare precisi requisiti normativi e motivare adeguatamente la scelta, dimostrando la convenienza e i benefici per la collettività. Le recenti pronunce giurisprudenziali chiariscono come utilizzare questo strumento correttamente, evitando errori procedurali che potrebbero portare all’illegittimità dell’affidamento.

In house providing: cos’è e come cambia con il nuovo Codice

Nel settore degli appalti pubblici, l’affidamento in house indica l’assegnazione diretta di un servizio o contratto a un ente o società totalmente partecipata dalla Pubblica Amministrazione (ad esempio un’azienda speciale, una società pubblica locale). In pratica, l’ente decide di “auto-prodursi” il servizio invece di esternalizzarlo a terzi tramite gara. Questa modalità si fonda su un rapporto di controllo analogo: la P.A. deve esercitare sul soggetto affidatario un controllo sostanzialmente identico a quello che ha sui propri uffici, e almeno l’80% dell’attività della società in house deve essere svolta a favore degli enti soci (secondo le condizioni previste dall’ordinamento UE).

Tradizionalmente, l’in house providing era considerato un istituto di carattere eccezionale rispetto alla regola generale dell’evidenza pubblica. Il vecchio Codice Appalti (D.Lgs. 50/2016) richiedeva all’Amministrazione una motivazione rinforzata per giustificare la scelta in house, spesso invocando il cosiddetto “fallimento del mercato” (ossia la prova che il ricorso a soggetti esterni non fosse vantaggioso o praticabile in quel caso). L’affidamento diretto senza gara doveva apparire come ultima risorsa.

Con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) questo approccio è mutato in modo significativo. L’art. 7 del nuovo Codice, comma 2, riconosce esplicitamente l’in house come una modalità organizzativa alternativa e paritaria rispetto al mercato. In altre parole, l’ordinamento attuale non considera più l’auto-produzione come una deroga straordinaria da spiegare con “vergogna”, ma come una scelta gestionale che l’ente può adottare al pari della gara, purché vengano rispettate alcune condizioni stringenti. Non è più necessario dimostrare che il mercato abbia fallito; tuttavia, la P.A. resta tenuta a valutare con rigore la propria decisione e a formalizzarla con un provvedimento motivato.

Requisiti e condizioni per un affidamento in house legittimo

Il nuovo Codice ha semplificato la cornice di principio, ma ciò non significa che l’in house sia libero da vincoli – al contrario, occorre seguire un preciso iter decisionale per garantirne la legittimità. Ecco i principali requisiti operativi e normativi:

  • Controllo analogo e partecipazione pubblica totale: l’ente affidante deve detenere il controllo totalitario della società affidataria (partecipazione al 100% pubblica, direttamente o tramite altri enti pubblici) ed esercitare su di essa un controllo analogo a quello su propri organi interni. Questo implica poteri di direzione, supervisione e sostituzione sostanziali nelle scelte della società. È la condizione base stabilita dal diritto europeo e recepita dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. 36/2023.

  • Attività prevalente a favore dei soci pubblici: la società in house deve realizzare la quasi totalità delle proprie attività a favore dell’ente o degli enti pubblici che la controllano. La soglia classica, di derivazione UE, è almeno l’80% del fatturato verso soci pubblici. Ciò evita che società in house operino come concorrenti sul mercato privato in modo significativo, distorcendo la concorrenza.

  • Provvedimento motivato di affidamento: la Pubblica Amministrazione deve adottare un atto formale (di solito una deliberazione di Giunta o del Consiglio, o determina dirigenziale a seconda dei casi) in cui motivare la scelta dell’affidamento in house in luogo della gara. Anche se la legge non esige più la “prova provata” del fallimento del mercato, la decisione va argomentata in modo serio e documentato. In particolare, l’art. 7, co. 2 richiede una “verifica di congruità economica” e degli “altri benefici” derivanti dall’in house. Ciò significa che l’ente deve confrontare, almeno in via generale, costi e qualità del servizio in house con quelli ottenibili affidandosi all’esterno. Ad esempio andranno considerati: il costo preventivato del servizio interno (personale, mezzi, investimenti), gli eventuali utili reinvestiti nella collettività, la maggiore flessibilità o controllo diretto che l’ente ottiene, oltre a un raffronto con i prezzi di mercato o con le offerte ottenute in passato per quel servizio.

  • Rispetto del quadro normativo settoriale: particolare attenzione va prestata se l’affidamento in house riguarda un servizio pubblico locale di rilevanza economica (es. gestione rifiuti, trasporto pubblico, energia, ecc.). In tali casi, oltre al Codice Appalti, interviene il TUSP (Testo Unico sui Servizi Pubblici Locali, D.Lgs. 201/2022) che prevede ulteriori passaggi. In particolare, per servizi di importo superiore alle soglie europee, l’art. 17 del TUSP richiede una deliberazione “qualificata” di affidamento adottata dall’ente, con motivazione approfondita che tenga conto anche degli esiti di precedenti monitoraggi (art. 30 TUSP) sulle gestioni in house. In sostanza, al di là dell’obbligo di legge, è buona prassi che la P.A. dimostri in maniera chiara la maggiore convenienza per la collettività e l’efficienza dell’opzione in house, specie quando si tratta di servizi rivolti direttamente ai cittadini.

  • Trasparenza e controlli esterni: la scelta dell’affidamento diretto deve essere comunicata e trasparente. Ad esempio, la normativa anticorruzione prevede obblighi di pubblicazione di tali atti (sul sito dell’ente, nella sezione “Amministrazione Trasparente”). Inoltre, l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) vigila sul rispetto dei requisiti. Anche se il nuovo Codice non attribuisce all’ANAC un potere di veto sugli in house (in passato si era discusso di poteri autorizzativi o pareri obbligatori, poi caduti), l’ente potrebbe dover trasmettere all’Autorità gli atti adottati. In ogni caso, un affidamento in house fatto senza i necessari presupposti espone l’Amministrazione a possibili procedimenti e sanzioni (oltre che ai ricorsi dei concorrenti esclusi).

Riassumendo, l’in house oggi è lecito e possibile ma deve essere frutto di una decisione ponderata e documentata. L’Amministrazione pubblica si assume in proprio la gestione del servizio: ciò implica oneri di organizzazione e rischio operativo, giustificabili solo se c’è un vantaggio concreto (economico, sociale o qualitativo) rispetto alla gara.

Cosa dicono le sentenze recenti: principi dal 2025

Nel corso del 2025, diverse pronunce dei giudici amministrativi hanno fatto luce su come applicare correttamente la nuova disciplina degli affidamenti in house. Vediamo i punti salienti emersi dalla giurisprudenza più attuale:

1. L’in house non è più “ultima spiaggia”, ma va comunque motivato – Il TAR Veneto (Sez. I, sent. 15 settembre 2025 n. 1556) ha respinto il ricorso di un gestore privato uscente contro l’affidamento diretto del servizio di riscossione tributi a una nuova società interamente pubblica. In questa sentenza, definita dagli esperti come una delle prime applicazioni concrete dell’art. 7 del Codice 2023, il TAR ha ribadito un principio innovativo: l’autoproduzione non è più un’eccezione da legittimare con una “motivazione rafforzata”, ma una modalità organizzativa alternativa e paritaria rispetto al ricorso al mercato. Non serve dimostrare il “fallimento” della gara, perché la legge attuale non gerarchizza a priori le due opzioni. Tuttavia, ciò non esonera l’ente dal dovere di motivare e analizzare con cura. Nel caso di specie, il Comune aveva svolto un’indagine sul mercato di riferimento (esaminando i prezzi di alcune gare recenti per servizi analoghi) e presentato un progetto dettagliato della società in house, evidenziando i vantaggi attesi (maggiore coordinamento e risparmio di costi). Il TAR ha ritenuto questo approccio conforme all’art. 7: pur non dovendo provare l’impossibilità di affidare all’esterno, l’ente ha comunque verificato la congruità dell’opzione in house e ne ha esplicitato i benefici, come richiesto. Importante anche un altro aspetto sottolineato nella pronuncia: il TAR ha distinto la natura del servizio (definendolo “strumentale”, perché rivolto all’ente stesso e non direttamente ai cittadini) e ha notato che per servizi strumentali l’autoproduzione risulta ancora più libera, mentre per servizi pubblici locali rivolti all’utenza può essere richiesta un’analisi ancor più approfondita (anche in virtù del TUSP). In sintesi, la sentenza conferma che “in house providing” non vuol dire “scelta arbitraria”: l’atto va sempre motivato, ma con parametri di coerenza e convenienza più che con eccezionalità.

2. Esperienze negative pregresse non precludono nuovi affidamenti in house – Un altro tema interessante affrontato dalla giurisprudenza è: cosa accade se in passato un affidamento in house ha dato esiti insoddisfacenti? Bisogna tornare obbligatoriamente al mercato? Su questo è intervenuto il Consiglio di Stato (Sez. IV, sent. 21 gennaio 2025 n. 416). Il caso riguardava un Comune che, dopo aver sperimentato una gestione in house poco efficace di un servizio locale, intendeva comunque riaffidare il servizio a una diversa società in house (con nuovi partner pubblici e un piano di gestione migliorativo). La scelta era contestata da alcuni, sostenendo che un fallimento precedente avrebbe dovuto imporre di bandire una gara. Il Consiglio di Stato ha chiarito che una precedente gestione negativa non preclude per legge un nuovo affidamento in house, purché si cambi l’operatore e soprattutto si proceda con un’attenta valutazione comparativa aggiornata. In pratica, non esiste un “pregiudizio” legale contro l’in house per via di un insuccesso passato: l’ente ha il diritto di riprovarci, se ritiene questa soluzione ancora vantaggiosa, ma ha l’onere di motivare in modo ancora più rigoroso perché la nuova gestione in house sarebbe diversa e migliore (ad esempio illustrando cosa cambierà nella governance o nell’organizzazione per evitare i problemi riscontrati in passato). La sentenza, infatti, ribadisce che ogni affidamento diretto deve basarsi su un’adeguata motivazione e su un confronto approfondito delle alternative disponibili al momento. In conclusione, secondo il Consiglio di Stato non si può bocciare un in house solo perché in precedenza le cose non hanno funzionato, ma quello “storico” negativo impone all’Amministrazione una dose extra di precauzione e trasparenza nella nuova decisione.

3. No alle proroghe tecniche ingiustificate in attesa dell’in house – Un ulteriore spunto proviene da una recente sentenza del TAR Emilia-Romagna (TAR Bologna, sent. 24 gennaio 2025 n. 2). In questa vicenda, l’ente locale aveva rinviato la scelta in house continuando ad affidarsi per un altro anno al gestore privato uscente, tramite una proroga tecnica del contratto, motivata dal fatto che si stava valutando l’opzione di costituire una società in house. Il TAR ha censurato questa condotta: richiamando la giurisprudenza consolidata secondo cui la proroga tecnica è un istituto eccezionale e di stretta necessità, il Tribunale ha affermato che non è lecito prorogare un appalto per rimandare di un anno la decisione sull’in house. Se l’Amministrazione intende percorrere la strada dell’autoproduzione, deve attivarsi subito per preparare l’affidamento in house con tutti i crismi (delibera motivata ex art. 7 D.Lgs. 36/2023, ecc.), invece di limitarsi a esprimere una vaga “opzione di principio” e procrastinare il confronto con il mercato. In pratica, la scelta tra gara e in house va fatta in modo tempestivo e chiaro; utilizzare la proroga solo perché non si è ancora deciso equivale ad abusare della proroga stessa. Inoltre, il TAR ha ribadito che secondo l’art. 7 e l’art. 192 del vecchio Codice, l’affidamento in house doveva già essere sostenuto da tutti i presupposti richiesti (specialmente la maggior convenienza per la collettività), che qui mancavano al momento della proroga. Il messaggio è dunque duplice: agire con programmazione, senza ridursi a estensioni contrattuali last minute, e compiere sin dall’inizio la verifica completa di convenienza e legittimità se si vuole l’in house.

4. L’illegittimità dell’in house “facile” (quando manca la convenienza) – Infine, va ricordato il principio generale, più volte richiamato anche in passato e confermato dalle corti: un affidamento in house è illegittimo se l’Amministrazione non dimostra in modo trasparente ed esauriente i presupposti di legge, in particolare la convenienza economica e sociale della scelta rispetto alla gara. In mancanza di ciò, l’atto di affidamento può essere annullato dal giudice su ricorso di un operatore escluso. Ad esempio, già il Consiglio di Stato (Sez. V, sent. 27 aprile 2020 n. 2684) affermava chiaramente che “l’in house è illegittimo quando non c’è convenienza economica comprovata e quando la motivazione è meramente apparente”. Questo orientamento sottintende che la P.A. deve evitare di utilizzare l’in house come scorciatoia per aggirare le gare o per mantenere rendite di posizione: se non emergono reali vantaggi per l’interesse pubblico, l’affidamento diretto configura un eccesso di potere. Nel 2025 lo scenario normativo è cambiato, ma non la sostanza di questo monito. Anzi, con l’in house reso più “libero” dal nuovo Codice, i giudici tenderanno a intervenire (su sollecitazione di concorrenti o organi di controllo) ogni qualvolta riscontrino un uso distorto di tale libertà. Pertanto, una Pubblica Amministrazione deve sempre poter rispondere a questa domanda: “perché gestirlo in house è meglio (o almeno non peggio) che fare una gara?”. Se la risposta non è chiara negli atti, l’affidamento rischia grosso.

Consigli pratici per enti e imprese

Alla luce di quanto sopra, ecco alcune indicazioni operative per gestire al meglio la materia degli affidamenti in house:

  • Per le Pubbliche Amministrazioni (PA):

    • Pianificazione e studio preliminare: Valutate per tempo se un determinato servizio possa essere svolto tramite in house. Se sì, avviate uno studio di fattibilità: confrontate i costi interni (personale, attrezzature, etc.) con quelli medi di mercato o con le offerte avute in passato. Considerate non solo la spesa, ma anche la qualità attesa, i tempi e il controllo che potrete esercitare direttamente. Coinvolgete i vostri uffici tecnici e finanziari per quantificare benefici e criticità.

    • Rispetto della procedura formale: Preparate la deliberazione motivata con attenzione. Nella motivazione, inserite dati concreti: ad esempio “l’affidamento in house consentirà un risparmio di X euro l’anno rispetto all’ultimo appalto esterno”, oppure “garantirà maggiore continuità del servizio evitando cambi di gestore, come emerso dall’analisi di 7 contratti analoghi”. Riferitevi espressamente all’art. 7 del Codice e, se applicabile, alle norme dei servizi pubblici locali (D.Lgs. 201/2022). Se richiesto, acquisite eventuali pareri (ad es. dell’Avvocatura o di organi di controllo interni). Non lasciate zone d’ombra: ogni requisito (controllo analogo, 80% attività, convenienza) deve risultare soddisfatto e documentato.

    • No alle soluzioni tampone illegittime: Evitate di ricorrere a proroghe “per guadagnare tempo”. Se il contratto in essere sta scadendo e scegliete l’in house, attivatevi subito per costituire/individuare la società pubblica e predisporre l’affidamento entro i tempi. L’inerzia può esporvi a dover prorogare irregolarmente il vecchio appalto (con il rischio di contestazioni e danno erariale). Meglio piuttosto valutare una gara ponte di breve durata, se proprio servisse più tempo, anziché proroghe non consentite.

    • Monitoraggio e miglioramento continuo: Una volta partito l’affidamento in house, monitorate attentamente la gestione. I risultati devono confermare le aspettative di efficienza: se così non fosse, siate pronti a correre ai ripari (anche valutando per il futuro un ritorno al mercato). Ricordate che la vostra decisione sarà sotto gli occhi di cittadini, organi di vigilanza e possibili concorrenti interessati: dimostrare con i fatti che l’in house funziona è la miglior difesa della vostra scelta.

  • Per le imprese private e gli operatori economici:

    • Conoscere i propri diritti: Se siete un operatore del settore e vedete un servizio affidato in house senza gara, sappiate che avete la legittimazione a ricorrere contro tale affidamento, purché dimostriate che avreste avuto interesse a partecipare a una gara. Valutate tramite i vostri legali se l’atto di affidamento diretto presenta vizi (mancanza di motivazione sufficiente, difetto dei requisiti di controllo analogo, ecc.). In caso affermativo, il ricorso amministrativo può portare all’annullamento della delibera in house, costringendo l’ente a bandire la gara.

    • Esame degli atti pubblicati: Monitorate la pubblicazione delle delibere di affidamento in house sul sito dell’ente o su banche dati (ad esempio la sezione “Amministrazione Trasparente – Provvedimenti” o l’Albo Pretorio online). L’ente dovrebbe pubblicare una relazione o delibera che spiega perché ha scelto l’in house. Richiedete eventualmente accesso agli atti per ottenere la documentazione di supporto (analisi economiche, pareri, progetto industriale della società in house). Una verifica accurata di questi documenti vi dirà se ci sono punti deboli impugnabili.

    • Dialogo e proposte alternative: Prima di arrivare al contenzioso, potete anche interloquire proattivamente con la P.A. Ad esempio, se un Comune annuncia la volontà di passare a gestione in house di un servizio che attualmente svolgete voi come appaltatore, potreste presentare all’ente una proposta migliorativa o uno studio comparativo per evidenziare che una vostra eventuale offerta potrebbe garantire condizioni migliori. Questo stimolo può spingere l’Amministrazione a riflettere e magari indire comunque una gara, oppure ad affinare la propria valutazione sull’in house. In ogni caso, dimostratevi attenti alla qualità del servizio: le P.A. sceglieranno il mercato se convinte che l’outsourcing offra più vantaggi rispetto all’auto-gestione.

In generale, il migliore alleato della legittimità di un affidamento in house è la trasparenza e la solidità delle motivazioni. Un ente pubblico che decide di “fare da sé” deve comportarsi come farebbe un buon imprenditore privato: analisi costi-benefici, piani industriali, attenzione ai risultati. Così facendo, l’in house può realmente rappresentare – come nelle intenzioni del legislatore – un modo efficiente di gestire servizi strategici, capitalizzando competenze pubbliche e garantendo controllo diretto. Viceversa, se utilizzato con superficialità o, peggio, per evitare la concorrenza senza valide ragioni, l’in house diventa un boomerang che espone l’ente a ricorsi e rischi amministrativi.

Conclusione e call to action

Il panorama normativo del 2025 sugli affidamenti in house mostra un equilibrio delicato tra autonomia organizzativa delle pubbliche amministrazioni e tutela della concorrenza. Ubi commoda, ibi et incommoda: la maggiore libertà riconosciuta agli enti porta con sé la responsabilità di un uso corretto. Come scriveva Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. In questo contesto, il cambiamento normativo ha reso “normale” ciò che prima era eccezionale, ma proprio per mantenere intatti i principi di buon andamento e imparzialità occorre agire con metodo. La chiave di volta è adottare un approccio rigoroso e trasparente: l’in house può dare grandi soddisfazioni in termini di efficienza e controllo, a patto di rispettare scrupolosamente le regole del gioco.

Se sei una Pubblica Amministrazione incerta su come impostare un affidamento in house, o un’impresa che intende tutelare i propri diritti nel caso di affidamenti diretti sospetti, il nostro team può assisterti. LexAppalti offre consulenza specializzata in appalti pubblici, aiutando enti e operatori a orientarsi tra normativa e prassi. Contattaci per una valutazione personalizzata: insieme troveremo la soluzione migliore, garantendo legalità e risultati concreti.

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