Collegamento sostanziale: esclusione nelle gare multi-lotto?
La partecipazione di imprese tra loro collegate a gare pubbliche suddivise in più lotti può comportare l’esclusione per collegamento sostanziale. Le più recenti pronunce giurisprudenziali definiscono i confini tra partnership lecite e pratiche elusive, offrendo indicazioni su quando scatta l’esclusione
Gare multi-lotto e rischio collusione: contesto normativo e definizioni
Le gare d’appalto suddivise in più lotti sono progettate per favorire la partecipazione di piccole e medie imprese, evitando che un unico operatore si aggiudichi l’intero appalto. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) incoraggia la suddivisione in lotti (art. 58) e consente alle stazioni appaltanti di introdurre un vincolo di aggiudicazione, ovvero un limite al numero di lotti che la medesima impresa può aggiudicarsi. Tuttavia, questa apertura al mercato comporta il rovescio della medaglia: imprese formalmente distinte potrebbero coordinarsi per aggirare il limite, presentandosi come concorrenti separati ma riconducibili a un unico centro decisionale. In tal caso si parla di collegamento sostanziale tra imprese, una condotta collusiva che mina la par condicio e la libera concorrenza. Il collegamento sostanziale non va confuso con i fisiologici rapporti di partnership o cooperazione tra aziende indipendenti: la linea di confine risiede nell’autonomia decisionale. Come ammoniva Machiavelli, “Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”: in apparenza le società possono sembrare concorrenti distinte, ma in concreto potrebbero essere mosse dalla stessa regia occulta. Individuare quando una collaborazione legittima sfocia in un accordo collusivo non è semplice e richiede un’analisi approfondita dei rapporti tra i soggetti coinvolti.
Vincolo di aggiudicazione e discrezionalità della stazione appaltante
In assenza di previsioni specifiche, la legge non vieta di per sé la partecipazione di imprese con assetti proprietari collegati alla medesima procedura, purché presentino offerte indipendenti. È la stazione appaltante che, nell’esercizio della sua discrezionalità, può introdurre nel bando clausole esplicite per limitare le aggiudicazioni o le partecipazioni multiple. Ad esempio, il Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza 19 marzo 2025, n. 2279) ha ribadito che l’amministrazione appaltante è libera di stabilire un vincolo di aggiudicazione e di definirne l’ambito applicativo, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. L’interpretazione di tali clausole deve avvenire alla luce della loro ratio e del testo del bando. Se il disciplinare di gara vieta l’aggiudicazione di più lotti alla stessa “impresa”, questa nozione va intesa riferita ad un singolo centro di interessi economici: in sostanza, anche società formalmente diverse potrebbero ricadere nel divieto se riconducibili al medesimo imprenditore o gruppo. In un caso concreto, è stato chiarito che l’utilizzo del termine “impresa” nella lex specialis precludeva al medesimo imprenditore (sia che partecipasse individualmente sia all’interno di raggruppamenti) di ottenere più di un lotto. Questo per evitare aggiramenti del limite tramite società controllate o accordi sottobanco. Summum ius, summa iniuria: un’eccessiva rigidità nell’applicare il divieto può però diventare ingiusta se non distingue le situazioni. Proprio per questo la giurisprudenza più recente invita ad interpretare restrittivamente le clausole di esclusione, senza estenderle oltre i casi espressamente previsti. È importante sottolineare che, secondo l’orientamento prevalente, in mancanza di un’esplicita previsione nel bando, non si può escludere un concorrente solo perché collegato ad un altro partecipante, a meno che non emergano prove concrete di un intento collusivo volto ad eludere la gara. Sul punto è intervenuta anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che con ordinanza 13 dicembre 2024, n. 17 ha sottoposto alla Corte di Giustizia UE la questione se i limiti di partecipazione possano applicarsi anche a imprese formalmente distinte ma sostanzialmente legate, pur in assenza di un’espressa clausola nel bando. Ciò dimostra come il confine tra autonomia d’impresa e collegamento illecito sia tuttora oggetto di attenzione anche a livello sovranazionale.
Collegamento sostanziale: indici rivelatori e onere della prova
Il collegamento sostanziale tra imprese si realizza quando offerte presentate da soggetti diversi risultano, in realtà, frutto di un accordo preventivo o di un coordinamento unico, tale da alterare la competizione. Esempi classici sono le società controllate dallo stesso soggetto o da familiari stretti, oppure aziende che condividono risorse e strategie al punto da non essere economicamente autonome nelle scelte di gara. Tuttavia, la sola presenza di rapporti societari o di parentela non basta automaticamente a configurare un collegamento sostanziale rilevante ai fini dell’esclusione. Servono indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino l’esistenza di un unico centro decisionale nella preparazione delle offerte. La giurisprudenza recente ha posto l’accento sulla necessità di prove concrete: sospetti o coincidenze formali non possono tradursi in esclusioni arbitrarie. La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 14 agosto 2025, n. 7041 ha fornito un chiarimento fondamentale in materia di accertamento del collegamento. In quel giudizio, due società distinte si erano aggiudicate l’una il lotto 1 e l’altra il lotto 2 della medesima gara. Il TAR Liguria aveva annullato l’aggiudicazione ritenendo, sulla base di legami di parentela e quote societarie incrociate tra i soci, che vi fosse un’intesa collusiva per spartirsi i lotti, violando così il vincolo di aggiudicazione previsto dal bando. Il Consiglio di Stato, investito della questione, ha tuttavia respinto un approccio meramente presuntivo: ha affermato che spetta innanzitutto alla stazione appaltante valutare e provare l’esistenza di un collegamento sostanziale, e che il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione in tale valutazione senza evidenze solide. In pratica, il giudice non può introdurre d’ufficio una causa di esclusione basandosi su congetture non sviluppate in sede di gara. L’onere probatorio grava sull’amministrazione: se ritiene che due offerte provengano da un unico disegno imprenditoriale, deve motivare l’esclusione con elementi fattuali oggettivi (ad esempio, la sovrapponibilità anomala di intere parti dell’offerta tecnica ed economica, strategie convergenti non spiegabili se non con un accordo, ecc.). Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha sottolineato come i legami societari o familiari, pur potendo costituire un campanello d’allarme, non sono di per sé prova di collusione in gara se non accompagnati da comportamenti concreti che dimostrino una volontà di alterare la procedura. In assenza di tali riscontri oggettivi, l’esclusione si rivela illegittima. Il principio affermato è chiaro: fraus omnia corrumpit, ma deve essere vera fraus – ossia un accordo lesivo della par condicio – altrimenti non si può correre il rischio di colpire ingiustamente imprese che operano legittimamente. Le stazioni appaltanti, dunque, sono tenute a indagare il collegamento sostanziale con rigore, ma anche con prudenza, evitando di confondere la mera apparenza di collegamento con una frode effettiva. Dal canto loro, le imprese partecipanti farebbero bene a dichiarare eventuali rapporti di controllo o collegamento (ad esempio tramite l’uso del DGUE e delle dichiarazioni di cui all’art. 94 del Codice) così da fugare sospetti, e ad evitare comportamenti paralleli che possano insospettire (quali presentare offerte tecniche identiche o concordare ribassi in modo artificioso).
Partnership lecita vs. unico centro decisionale: la distinzione del 2025
Un contributo illuminante per distinguere collaborazione lecita e collegamento vietato giunge dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 17 settembre 2025, n. 7351. In questa pronuncia, i giudici di Palazzo Spada hanno esaminato una fattispecie in cui due società legate da accordi commerciali pregressi avevano partecipato a una gara multi-lotto. La questione centrale era se tale partnership commerciale dovesse essere equiparata a un collegamento sostanziale ai fini dell’esclusione. Il Consiglio di Stato adotta un approccio pragmatico e sostanziale, tracciando un confine netto tra sinergie consentite e collusioni vietate. Viene affermato che il divieto di partecipare a più lotti non può essere applicato analogicamente oltre i casi espressamente contemplati: un accordo di partnership tra imprese, di per sé, non rientra automaticamente nelle ipotesi di esclusione salvo che si traduca in un unico centro decisionale sulle offerte. In altri termini, la collaborazione tra aziende – ad esempio attraverso scambio di know-how, fornitura reciproca di componenti o progettazione condivisa – non viola la lex specialis finché ciascun concorrente mantiene la propria autonomia decisionale nella gara. La sentenza evidenzia come indizi spesso considerati sospetti, quali la somiglianza delle offerte tecniche, vanno valutati con cautela: la mera identità di alcune soluzioni proposte può derivare da legittime strategie comuni (ad esempio, uso dello stesso consulente o allineamento a standard di settore) e non prova necessariamente un accordo collusivo segreto. Ciò che conta è la sostanza dei rapporti: se la partnership non sfocia in un controllo unificato delle offerte, essa rimane lecita. Il Consiglio di Stato, nel caso concreto, ha tutelato la libertà di collaborazione commerciale tra imprese, chiarendo che un accordo di partnership non equivale a una “fusione sostanziale” tra concorrenti. Al tempo stesso, la sentenza ribadisce la finalità del vincolo di partecipazione multipla: esso serve a impedire che le commesse pubbliche si concentrino nelle mani di un unico operatore economico reale, scongiurando cartelli o oligopoli occulti. Tale vincolo però non deve essere usato in modo distorto per sanzionare sinergie industriali legittime, che anzi spesso accrescono la qualità dell’offerta senza pregiudicare la concorrenza. In definitiva, secondo la pronuncia in esame, non ogni legame tra concorrenti è un “collegamento sostanziale”: solo quando la connessione tra imprese elimina di fatto la loro reciproca indipendenza decisionale si cade nel divieto. Diversamente, un rapporto di partenariato o co-progettazione resta nell’alveo del lecito, in quanto lascia inalterata la soggettività autonoma di ciascun operatore. Questa interpretazione garantisce un equilibrio: prevenire l’elusione dei limiti di gara, senza però scoraggiare le imprese dall’attivare reti di collaborazione virtuose. Per le stazioni appaltanti ciò comporta l’onere di formulare con chiarezza eventuali clausole anti-collusione nei bandi e di svolgere istruttorie approfondite prima di disporre esclusioni; per le imprese significa poter fare squadra su aspetti tecnici o logistici, purché la competizione rimanga genuina e trasparente.
Indicazioni pratiche per imprese e stazioni appaltanti
Alla luce di queste evoluzioni giurisprudenziali, emergono alcuni suggerimenti operativi:
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Per le imprese concorrenti: valutate attentamente eventuali legami societari o accordi con altri partecipanti alla stessa gara. Se operate in mercati simili o fate parte di un medesimo gruppo, comunicate in modo trasparente tali circostanze alla stazione appaltante, dichiarandole negli atti di gara. Evitate comportamenti uniformi che potrebbero apparire come concertati (offerte con identici errori, ribassi percentuali identici, uso del medesimo redattore per le relazioni tecniche, ecc.), a meno che non siano strettamente necessari e comunque spiegabili. Ricordate che “fraus latet in generalibus”: un’accusa generica di collusione può celare insidie: fornite sempre elementi concreti a sostegno della vostra indipendenza (es. differenze sostanziali nelle offerte, diversi team di lavoro, ecc.). In caso di rapporti di controllo formale (es. società madre-figlia), valutate se sia opportuno evitare la partecipazione contemporanea agli stessi lotti, oppure predisponete misure di chinese wall interne per dimostrare la separazione delle decisioni. Prevenire sospetti è la miglior strategia: meglio rinunciare a un lotto che essere esclusi da tutta la gara con un marchio di collusione.
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Per le stazioni appaltanti: redigete con cura la lex specialis in tema di vincoli multi-lotto. Se ritenete necessario impedire aggiudicazioni plurime a soggetti collegati, esplicitatelo chiaramente nel bando, definendo l’ambito del divieto (ad esempio vietando l’aggiudicazione di più lotti a imprese controllate dallo stesso soggetto o appartenenti al medesimo gruppo). In sede di valutazione delle offerte, prestate attenzione a segnali anomali di possibile collegamento sostanziale: pattern sospetti nei punteggi, offerte tecniche incredibilmente simili, errori identici nei documenti, indicano che potrebbe esserci stata un’intesa. In tali casi, avviate un’istruttoria: richiedete chiarimenti alle imprese, raccogliete informazioni sul loro assetto societario, e se necessario coinvolgete l’ANAC per approfondimenti. Non procedete con esclusioni automatiche o “a naso”: ogni provvedimento di esclusione per collegamento deve essere motivato analiticamente, indicando gli elementi fattuali che provano l’unico centro decisionale. Tenete presente che un’esclusione illegittima espone l’amministrazione a ricorsi e possibili richieste risarcitorie. Meglio, quindi, agire con fermezza contro le collusioni vere, ma con equilibrio nelle situazioni borderline. In quest’ottica, le recenti sentenze sono una bussola preziosa: seguite i criteri da esse delineati (concretezza degli indizi, interpretazione restrittiva delle clausole, rispetto dell’autonomia imprenditoriale) per orientare le vostre decisioni.
In conclusione, collegamento sostanziale è diventata l’espressione chiave per indicare il punto di rottura tra competizione leale e accordi occulti nelle gare pubbliche. Le novità del 2025 delineano un approccio più maturo e bilanciato: né tolleranza verso i cartelli travestiti da RTI, né caccia alle streghe contro imprese che collaborano onestamente. L’obiettivo è garantire che la suddivisione in lotti – pensata per democratizzare l’accesso agli appalti – non venga vanificata da strategie elusive, senza però ostacolare le aggregazioni virtuose e l’innovazione condivisa. Le imprese che partecipano a gare multi-lotto devono quindi operare con disciplina e cautela, consapevoli che la propria indipendenza sarà scrutinata; le stazioni appaltanti, dal canto loro, hanno il compito di vigilare con rigore, ricordando però che “la legge non punisce ciò che non vieta espressamente”. Mantenere questo equilibrio richiede competenza giuridica e sensibilità pratica: qualità indispensabili per chiunque voglia muoversi con successo nel complesso territorio degli appalti pubblici contemporanei.
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